domenica 8 gennaio 2012

The End - fin de l'histoire

Il successo di un film dipende dai suoi ultimi 20 minuti. Il film è il suo finale. Perché? Perché il finale di un film dà la risposta alla vita di un uomo che ti è stata raccontata fino a quel momento. E noi vogliamo sapere in anticipo se e come una vita vale la pena di essere vissuta. E siccome non possiamo farlo con la nostra vita, perché la stiamo vivendo, cerchiamo di fare l’esperimento con le vite degli altri. E le vite degli altri sono spesso quelle dei personaggi dei romanzi e dei film. Insomma le storie ben raccontate dimostrano l’esistenza dell’aldilà: il personaggio ha cambiato sé e il mondo e gli effetti sono irreversibili, nel bene e nel male.
Massimo l’ispanico muore ma si ricongiunge con la moglie e il figlio, Wallace viene torturato a morte ma la Scozia è libera, Julianne non riesce a riconquistare l’ex fidanzato ostacolandone il matrimonio, ma ha imparato cosa vuol dire amare (Il matrimonio del mio miglior amico), Guido muore ma il figlio e la moglie sono salvi (La vita è bella), Truman scopre la verità ed esce dallo show televisivo, Rose ritorna sui luoghi del suo metaforico matrimonio con Jack (Titanic), Michael diventa il nuovo Padrino ma a prezzo della sua innocenza iniziale, Riccardo III ha ottenuto il potere eliminando tutti i rivali, ma alla fine darebbe il suo regno per un solo cavallo, Anna Karenina ha tradito il marito ma si è ritrovata più sola di prima…Fatto sta che nel finale di un film o di un romanzo, il personaggio riceve ciò che si è meritato – nel bene e nel male – con la sua vita. E i film più amati sono proprio quelli che rendono visibile questo “premio”, di dannazione o redenzione che sia. Il finale di un film è l’aldilà reso visibile nell’aldiquà: il senso di una vita intera spesa per qualcosa.
Tutti vorremmo conoscere il finale della nostra vita. Il suo consuntivo: è valsa o non è valsa la pena? E cerchiamo risposte nelle vite dei personaggi con i quali ci identifichiamo.






































































venerdì 6 gennaio 2012

Cooper & Gorfer - mon or le silence

Un paese che dista dal mare più di qualunque altro al mondo, arroccato su montagne che gli sono valse la nomea di "Svizzera asiatica" (ahimé senza i caveaux). Un nome quasi impronunciabile, che appare sui quotidiani associato a rivoluzioni o tristi primati: è 13simo nel Corruption Percepition Index. Difficile che qualcuno si innamori del Kirghizistan. Eppure per anni le fotografe Sarah Cooper e Nina Gorfer, alias Studio Seek, hanno sognato di raccontare l'anima di questa instabile e impervia ex provincia sovietica con il loro obiettivo. Dimenticate però i reportage documentaristici. Il lavoro di Studio Seek, oggi raccolto nel libro My Quiet of Gold, è infatti una raccolta di storie narrate attraverso sofisticatissime immagini e testi ispirati alla tradizione orale kirghistana. In cui l’artificio diventa, quasi paradossalmente, il mezzo per raccontare la vera essenza di una cultura. Dalla voglia di catturare qualcosa che si sta perdendo all’esperienza del viaggio come strumento di conoscenza delle culture lontane, fatta attraverso le persone e i loro racconti in un' epoca in cui viviamo dove ci pare di aver visto e fatto tutto, ma la maggior parte di noi esplora il mondo con il mouse, seduto in poltrona. Ed è per questo motivo che voglio immergervi nel mondo Sarah e Nina, un mondo raccontato attraverso immagini che sembrano dipinti, un mondo legato alla tradizione della fotografia analogica del passato, l’artificialità della situazione, la novità del mezzo e l’eccitazione di farsi immortalare: la fotografia. E allora bon voyage in questo viaggio storico senza conformismo e senza mai dire una parola.